Spiriti nelle tenebre
Quando il leone agisce isolato, colpisce di notte prede ugualmente isolate e scompare alla velocità del fulmine, allora è semplicemente “il re della foresta”. Quando però si unisce ad un compagno di caccia e con esso osa attaccare l’uomo, ripetutamente, e sembra dilaniare la vittima con sadismo prima di divorarla, allora il leone smette di essere una pericolosa, ma in fondo semplice bestia, per diventare uno “spirito delle tenebre”. I due giganteschi leoni che terrorizzano gli addetti al cantiere sul fiume africano Tsavo (luogo non propriamente di buon augurio, se nella lingua locale, come spiegano nel film, significa “luogo di sterminio”…) sono un serio problema per tutti: per l’aitante ed idealista costruttore di ponti, l’ingegnere John Patterson (Val Kilmer), approdato nel Continente Nero per “domare” il fiume, per gli operai africani ed indiani che sembrano abbonati allo sgradevole ruolo di diventare il piatto preferito dei due guastafeste con la criniera ed i denti aguzzi, per il direttore delle operazioni, dott. Beaumont (Tom Wilkinson, abilmente odioso), deciso ad ottenere il cavalierato per la buona riuscita dell’operazione e sempre pronto a confermare a chi gli sta vicino che non gli interessa nulla delle vittime dei leoni, ma solo della perdita di tempo nella costruzione del ponte, cosa che può avvantaggiare la concorrenza tedesca e francese. “L’Africa va salvata dagli africani”, è la filosofia non propriamente filantropica del dirigente colonialista in questione. Quando le vittime dei leoni arrivano a quaranta, entra in scena un abile cacciatore, il rozzo Remington (Michael Douglas) che, in una spettacolare sfida al ringhio con i leoni (e con l’aiuto di un gruppo di guerrieri Masai) cerca di risolvere le cose. Un uomo di costruzione, Patterson, ed uno di distruzione, Remington, si alleano quindi per completare lavori e caccia. Sullo sfondo, un’Africa selvaggia e pura opposta ad un mondo occidentale corrotto ed assetato di denaro: come stantio cliché naturalista impone.